EMATOWILL

Volume 2 – Numero 4

 

4° uscita del 2022 della rivista digitale Ematowill

 

A cura di Mariasanta Napolitano

In questa edizione della rivista, il Dott. Cortesi affronta delle tematiche che sono state og-getto di un interesse sempre crescente negli ultimi anni: il costo dei trattamenti, la sosteni-bilità degli stessi, l’accesso alla terapia, l’innovazione delle terapie. L’argomento, per quanto riguarda la gestione dell’emofilia, vede l’avvento delle nuove terapie sostitutive (fattori della coagulazione ad emivita prolungata) e non sostitutive (emicizumab), già disponibili da di-versi mesi, affiancare le molecole ad emivita standard. Vengono quindi analizzati i diversi aspetti clinico/sociali, i costi stimati e il loro potenziale impatto sulla scelta del trattamento, in relazione anche ai diversi contesti di cura. In riferimento alla malattia di von Willebrand, accanto agli aspetti relativi alla diagnosi per la definizione del trattamento ottimale (in particolare nei pazienti che possano manifestare sporadici eventi emorragici e quindi necessitare di trattamento a domanda), vengono de-scritti in dettaglio i dati derivanti da recenti studi, con analisi comparativa del fenotipo clini-co, della necessità di ospedalizzazioni e dei costi delle cure. Un ulteriore ambito importante affrontato in questa edizione è quello relativo all’individuazione dei pazienti candidabili a profilassi.

APPROFONDIMENTO VON WILLEBRAND

Malattia di Von Willebrand: il carico economico

Volume 2, Numero 4 – Dicembre 2022

Prof. Paolo Cortesi
Centro di ricerca sulla sanità pubblica (CESP),
Università di Milano – Bicocca, Monza, Italia

La malattia di von Willebrand (VWD) è una rara malattia emorragica ereditaria, caratterizzata da un’emostasi alterata a causa di un deficit quantitativo o qualitativo nel fattore di von Willebrand (VWF), una glicoproteina plasmatica che media l’adesione e l’aggregazione piastrinica e stabilizza il fattore VIII della coagulazione in circolazione [1,2].
La VWD è classificata in 3 categorie principali, basate sul fenotipo del VWF, che hanno lo scopo di aiutare la diagnosi, il trattamento e la gestione dei pazienti con VWD [1]. Il tipo 1 rappresenta il 70%-80% dei casi, il tipo 2 circa il 20% e il tipo 3, che è la forma più grave, <5% dei casi. La maggior parte dei pazienti con VWD (70%-80%) presenta sintomi di sanguinamento da lievi a moderati (di solito si tratta di sanguinamento delle mucose, o sanguinamento dopo traumi o interventi chirurgici), sinonimo di VWD di tipo 1, che è la forma più comune. Emorragie maggiori, potenzialmente pericolose per la vita, comprese emorragie del tratto gastrointestinale e del sistema nervoso centrale, possono verificarsi in modo particolare nei pazienti con VWD di tipo 3 [2]. In uno studio condotto da un gruppo di studio internazionale, il von Willebrand Disease Prophylaxis Network, i tassi di sanguinamento annualizzati (ABR) nei pazienti con VDW sono pari a 9,6 menorragie, 9,3 sanguinamenti gastrointestinale, 11,9 sanguinamenti articolari e 11,1 epistassi. A causa di tali eventi emorragici, i soggetti con VDW necessitano di più ricoveri ospedalieri e visite ambulatoriali [2]. Questi ed altri studi hanno valutato informazioni importanti sul carico economico associato alla VWD, tuttavia nessuno di questi ha mai riportato informazioni dettagliate sull’utilizzo delle risorse sanitarie e sui costi associati alla gestione degli eventi emorragici. Informazioni su questi aspetti sono di grade rilevanza per definire il carico economico della VWD: la gestione dei sanguinamenti maggiori contribuisce in modo sostanziale all’onere economico della VWD, poiché la maggior parte dei pazienti affetti da essa non riceve attualmente una terapia sostitutiva continua. Per questo motivo uno studio recente, pubblicato nel 2021 negli Stati Uniti, ha scelto di valutare questi aspetti economici, al fine di definire meglio l’impatto che la VWD ha a livello di costi sanitari [2]. Nello studio sono stati identificati 19.785 pazienti con VWD, dei quali il 15% riportava uno o più eventi di sanguinamento maggiore, durante un periodo di osservazione di 4 anni. Di tutti gli eventi emorragici identificati dallo studio, l’89% di questi erano sanguinamenti gastrointestinali. Per definire l’impatto economico associato a questi sanguinamenti è stata fatto un confronto tra i 773 pazienti con ≥1 evento di sanguinamento maggiore ed i 4.285 pazienti senza eventi di sanguinamento maggiore. Tale confronto ha permesso di stimare le differenze in termini di ospedalizzazioni, lunghezza del ricovero, visite al pronto soccorso e visite ambulatoriali associabili ai pazienti con emorragie maggiori e di stimare il relativo costo. In questo studio, i pazienti con eventi di sanguinamento maggiore avevano più ricoveri ospedalieri (rapporto del tasso di incidenza [IRR]=3,2; 95% CI=2,78-3,77), ricoveri più lunghi (IRR=3,9; 95% CI=3,12-4,93), più visite al pronto soccorso (IRR=2,0; 95% CI=1,77-2,27) e più visite ambulatoriali (IRR=1,3; 95% CI=1,19-1,34) rispetto ai pazienti senza eventi di sanguinamento maggiore. I costi annuali dell’assistenza sanitaria erano significativamente più alti per i pazienti con eventi di sanguinamento maggiore, rispetto a quelli senza. In particolare, il costo totale per i pazienti con sanguinamenti maggiori è risultato di $20.890 maggiore, rispetto alla popolazione senza. Tale differenza era dovuta a $2.593 in più per la terapia farmacologica e $18.293 per gli altri costi (ospedalizzazioni, accessi al pronto soccorso e visite specialistiche). Sulla base di questi risultati, gli autori concludevano che gli eventi di sanguinamento maggiore erano associati ad un aumento del consumo delle risorse sanitarie e dei costi, principalmente a causa dell’aumentata necessità di ospedalizzazioni [2]. Un altro aspetto rilevante per quanto riguarda la gestione e i costi della VWD è quello relativo agli interventi chirurgici maggiori. Nei pazienti con VWD sottoposti a procedure chirurgiche maggiori esiste un rischio importante di emorragia potenzialmente pericolosa per la vita e quindi, per questi interventi, è obbligatoria una terapia preventiva per normalizzare i livelli funzionali di VWF e FVIII [3,4]. In passato, uno studio basato su un’analisi retrospettiva di un ampio database statunitense (Healthcare Cost and Utilization Project National Inpatient Sample) aveva rilevato un rischio significativamente più elevato di emorragia postoperatoria nei pazienti con VWD, rispetto ai pazienti senza VWD sottoposti a chirurgia maggiore, ma senza determinarne il carico economico [3]. Al contrario, un recente studio pubblicato nel 2021 ha stimato l’onere economico associato ai pazienti con VWD sottoposti a chirurgia maggiore, rispetto ai pazienti senza VWD sottoposti a chirurgia maggiore, negli Stati Uniti [3]. In tale studio, gli interventi più frequentemente eseguiti erano sull’apparato muscoloscheletrico e su quello digestivo (39,6% e 25,0% nei pazienti con VWD). Lo studio mostrava che i pazienti con VWD, che avevano subito un intervento di chirurgia maggiore, avevano una probabilità più alta di sperimentare ricoveri ospedalieri (rapporto tra tassi d’incidenza [IRR]=1,47; 95% CI=1,35-1,60), visite al pronto soccorso (IRR=1,44; 95% CI=1,31-1,59) e visite ambulatoriali (IRR=1,16; 95% CI=1,11-1,21), rispetto ai pazienti senza VWD che andavano incontro a interventi di chirurgia maggiore [3]. I pazienti con VWD riportavano dei costi sanitari totali significativamente più alti rispetto ai pazienti senza VWD, con un costo medio annuo per paziente di $50.733,89 nei soggetti con VWD, rispetto ai $30.154,84 nei pazienti senza VWD [3]. Gli autori di questo studio concludevano che l’utilizzo delle risorse sanitarie e i costi associati, nei pazienti con VWD sottoposti a interventi chirurgici maggiori, erano significativamente più alti rispetto a quelli senza VWD e che questa differenza era probabilmente dovuta a alle complicazioni legate ai sanguinamenti sperimentati dai pazienti affetti da VWD [3]. Entrambi i recenti studi appena menzionati sottolineavano il fatto che i pazienti con VWD dovevano accedere a una terapia preventiva e continuativa, per prevenire e meglio controllare i sanguinamenti [2,3]. In tali lavori si suggerivano l’implementazione e l’ottimizzazione di una terapia in profilassi con il fattore di von Willebrand, allo scopo di prevenire o ridurre gli eventi di sanguinamento maggiore, migliorare la condizione clinica dei pazienti e ridurre l’uso e i costi dell’assistenza sanitaria (ospedalizzazioni, accessi al pronto soccorso, visite ambulatoriali, terapie farmacologiche, ecc.), nei pazienti con VWD per i quali il trattamento con desmopressina non è efficace, o è controindicato [2,3]. I pazienti con le forme più gravi di VWD sono i soggetti che presentano il maggior bisogno di una terapia profilattica, a causa della maggiora frequenza di emorragie che sperimentano. La profilassi a lungo termine con concentrato di fattore di von Willebrand ha dimostrato la sua efficacia nel ridurre la frequenza degli episodi di sanguinamento nei pazienti con VWD [5]. Tuttavia, a questa terapia sono associati costi più elevati, per via della necessità di una somministrazione regolare di concentrato di VWF, che pongono delle barriere all’accesso a questo trattamento [6]. Per questo motivo un recente studio, presentato al congresso della società americana di ematologia, ha riportato i risultati di una valutazione specifica sul valore del trattamento in profilassi, rispetto al solo trattamento a richiesta dei sanguinamenti sperimentati dai pazienti con VWD grave [6]. La valutazione ha confrontato costi ed efficacia clinica del trattamento a domanda (ODT), rispetto a quello con profilassi (60 unità/kg ogni 3 giorni) a lungo termine (PRO) dalla prospettiva della società USA. In questo studio, il costo medio associato alla terapia a domanda era di US $1.140.586 (± $65.215), rispetto ai US $918.329 (± $94.983) per il trattamento in profilassi. Inoltre, il trattamento a domanda comportava anche una minore efficacia, con una riduzione della quantità e qualità di vita nei pazienti trattati con detta terapia. Tale differenza era stimata in anni di vita aggiustati per la qualità (QALY) ed è stata valutata pari a 0,52 QALY (± 0,01) per la terapia a domanda, contro i 0,8 QALY (± 0,04) per la terapia in profilassi [6]. Sulla base di questi risultati, gli autori suggeriscono che la profilassi a lungo termine con il VWF sia una strategia conveniente nei pazienti con forme gravi di VWD, che aiuta ad evitare ricoveri costosi e la riduzione della qualità della vita associata agli episodi emorragici e alle loro complicanze [6]. Sulla base dell’importante carico economico associato alla VWD e dimostrato dai recenti studi, è diventato sempre più importante definire delle strategie di trattamento che possano prevenire e controllare in modo efficace i sanguinamenti sperimentati da tali soggetti, particolarmente in quelli affetti dalle forme gravi. La profilassi con VWF sembra avere il potenziale di migliorare i risultati clinici e la qualità di vita dei pazienti, a fronte di una riduzione complessiva dei costi per la società [5]. Tuttavia, le analisi condotte hanno utilizzato il punto di vista della società, che comprende sia i costi sanitari (ospedalizzazioni, visite mediche, terapie farmacologiche, esami di laboratorio e diagnostici, accessi al pronto soccorso riabilitazione), che quelli non sanitari (es. assistenza e cura prestata da familiari, o amici/conoscenti), che quelli legati alla produttività del paziente. Il punto di vista della società rappresenta il punto di vista più ampio usato per le valutazioni economico sanitarie, tuttavia i servizi sanitari, come quello italiano, necessitano di valutazioni specifiche per il loro punto di vista, che comprendano solo i costi sanitari diretti. Diventa quindi importante che nel prossimo futuro si eseguano valutazioni specifiche per il servizio sanitario italiano, al fine di capire l’impatto clinico ed economico associato al trattamento in profilassi, rispetto a quello a domanda e di definire il valore e la sostenibilità di tali interventi dal punto di vista di chi è deputato a gestire il budget sanitario.

Riferimenti bibliografici

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6. Bhaskar A, Connell NT. Cost-effectiveness of long-term prophylaxis versus on-demand treatment with von Willebrand factor concentrate in severe inherited von Willebrand disease. Blood 2020; 136: 4–5.

VIDEO INTERVISTA
DEL professor Paolo cortesi

Volume 2, Numero 4 – Dicembre 2022

Relatore

Paolo Cortesi

Pubblicazione

Dicembre 2022

APPROFONDIMENTO DI EMOFILIA

emofilia: il valore e la sostenibilità dei nuovi trattamenti

Volume 2, Numero 4 – Dicembre 2022

Prof. Paolo Cortesi
Centro di ricerca sulla sanità pubblica (CESP),
Università di Milano – Bicocca, Monza, Italia

L’emofilia è una malattia rara, congenita ed ereditaria, che è dovuta ad un’anomalia dei fattori di coagulazione. I soggetti con emofilia sperimentano frequenti emorragie spontanee (soprattutto a livello articolare), che hanno un elevato impatto clinico, economico e sulla vita di tutti i giorni. Un progressivo e grave deterioramento della struttura articolare è associato al ripetersi dei sanguinamenti articolari, con il seguente sviluppo di artropatie [1].
Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad un continuo miglioramento del trattamento dei pazienti emofilici, grazie alla diffusione dell’utilizzo del trattamento in profilassi come “gold standard” e alla disponibilità di concentrati ricombinanti caratterizzati da un’elevata efficacia e sicurezza [1,2]. Se la diffusione del trattamento in profilassi ha comportato una rivoluzione nella prognosi del paziente, permettendogli di ridurre i sanguinamenti fino a oltre il 90%, prevenire lo sviluppo delle artropatie e mantenere un livello di qualità di vita significativamente più vicino a quello della popolazione generale [2], di contro ha anche comportato un incremento significativo dei costi del trattamento stesso.
Gli ultimi studi sul carico economico dell’emofilia, condotti in Paesi europei, hanno riportato un costo per paziente emofilico grave tra i €130.000 e i €320.000 l’anno, laddove più del 90% della spesa è attribuibile alla terapia farmacologica [3,4]. Questa variabilità di costi è legata al diverso prezzo dei concentrati nei diversi Paesi, ma anche a una variabilità legata alla personalizzazione del trattamento per ogni singolo paziente emofilico [4]. Inoltre, i pazienti emofilici possono sviluppare inibitori, anticorpi prodotti dal sistema immunitario in grado di limitare o annullare l’efficacia del trattamento, con un conseguente aumento del rischio di sanguinamenti, di danno articolare e di disabilità, oltre che alla necessità di utilizzare una terapia differente, basata su infusioni con agenti bypassanti (aPCC, Complesso Protrombinico Concentrato Attivato; rFVIIa, Fattore VII ricombinante) per controllare i sanguinamenti [5]. L’utilizzo di tali agenti comporta, inoltre, un ulteriore incremento dei costi di trattamento dei pazienti emofilici, costi che risultavano essere tre-quattro volte superiori rispetto a quelli dei soggetti senza inibitori [5].
Il costo della gestione dei pazienti emofilici e l’ottimizzazione delle risorse, allo scopo di offrire il miglior trattamento ai pazienti, sulla base delle disponibilità e della sostenibilità dei sistemi sanitari, è sempre stato un aspetto molto rilevante per gli operatori sanitari e per gli amministratori [4]. Attualmente stiamo assistendo a un crescente dibattito scientifico e politico sull’alto costo del trattamento dell’emofilia, i suoi effetti e il diverso uso nei diversi pazienti. Questo dibattito è diventato ancora più significativo alla luce delle nuove opzioni terapeutiche che sono arrivate, o stanno arrivando sul mercato e sulla necessità di valutazioni economico-sanitarie che permettano di definirne il valore e la sostenibilità.
Tra le recenti innovazioni con elevato impatto clinico ed economico nel campo dell’emofilia, possiamo menzionare il trattamento con emicizumab nei pazienti emofilici con inibitori. Questo nuovo trattamento ha riportato un significativo miglioramento dal punto di vista dell’efficacia clinica, della gestione e qualità di vita del paziente (unico prodotto con somministrazione sottocute e mono-settimanale), oltre che una riduzione dei costi complessivi di trattamento. Da uno studio italiano condotto nel 2020, il trattamento in profilassi con emicizumab, nei pazienti con emofilia A e inibitori, è risultato essere un trattamento più efficace e meno costoso delle alternative terapeutiche disponibili [5]. In tale analisi la profilassi con emicizumab ha riportando un miglioramento clinico e di qualità di vita, con una riduzione dei costi di trattamento per paziente compresi tra i 20,0 e i 25,2 milioni di euro, se valutati sull’aspettativa di vita dei pazienti. La riduzione dei costi e il vantaggio economico di emicizumab è stato confermato anche da un’altra analisi riportata in questo studio, dove è stata stimata una riduzione del budget, associato alla profilassi con emicizumab, pari a 8,0 milioni di euro nel primo anno di utilizzo della terapia, 17,2 milioni nel secondo e 15,5 milioni nel terzo anno, con una riduzione complessiva del budget di 45,4 milioni di euro rispetto all’utilizzo dei trattamenti precedenti, con agenti bypassanti. Tali analisi hanno permesso di capire il valore e la sostenibilità di un trattamento innovativo come emicizumab nella gestione dei pazienti con inibitori. Tuttavia, i miglioramenti terapeutici non hanno riguardato soltanto i pazienti emofilici con emofilia A ed inibitori, ma anche i pazienti con emofilia A o B senza inibitori. Per questi pazienti, negli ultimi anni, sono diventate disponibili terapie sostitutive basate su fattori con emivita prolungata, rispetto a quelli ad emivita standard, che permettono di ridurre la frequenza di infusioni e di migliorare la personalizzazione della terapia, al fine di migliorare la qualità di vita dei pazienti, l’efficacia clinica e potenzialmente di ridurre i costi o, quantomeno, di mantenerli stabili. Inoltre, anche emicizumab è stato autorizzato per il trattamento dei pazienti con emofilia A senza inibitori, andando ad incrementare le opzioni terapeutiche per questi pazienti e permettendo una maggiore personalizzazione del trattamento da parte dei clinici, basata sulla scelta tra prodotti con caratteristiche diverse.
In relazione a queste nuove opzioni terapeutiche, sono state condotte le prime valutazioni economico-sanitarie per capire l’efficacia e il costo dei nuovi prodotti rispetto ai precedenti. Due di queste valutazioni sono state condotte in maniera specifica per il contesto italiano [6,7]. La prima valutazione ha stimato e confrontato l’efficacia e i costi associati al primo fattore VIII a emivita prolungata disponibile in Italia, con quelli associati ai vecchi fattori a emivita standard [6]. La valutazione è stata condotta con un modello di simulazione ed ha incluso i costi di trattamento con i fattori VIII, le probabilità di sanguinamento e il relativo sviluppo di articolazioni target e riduzione della qualità di vita. Dall’analisi è emerso come il fattore VIII a emivita prolungata sia associato a un risparmio sui costi per paziente di circa €1,3 milioni e un guadagno in termini di anni di vita aggiustati per la qualità (QALY) di 0,39. Nelle sue conclusioni, l’articolo riportava che il FVIII a emivita prolungata poteva offrire un’opzione di trattamento efficace ed economicamente vantaggiosa per i pazienti con emofilia A senza inibitori e per il servizio sanitario italiano. La seconda valutazione è stata condotta sui pazienti con emofilia A grave che, dopo essere stati trattati in profilassi con fattori VIII a emivita standard, venivano trattati con un fattore VIII a emivita prolungata. Lo studio è stato condotto presso il centro di Parma e mirava a confrontare l’impatto del nuovo trattamento rispetto ai precedenti. Su 25 candidati allo studio, 18 pazienti (15 gravi e 3 moderati, di età compresa tra 9 e 62 anni; 3 con storia di inibitori) avevano iniziato la profilassi con il fattore a emivita prolungata, riportando lo stesso consumo di farmaco, ma con una riduzione della frequenza di infusioni pari al 30%. Tredici pazienti inclusi nello studio, e che erano stati osservati per un tempo medio di 18 mesi, riportavano una frequenza di infusione ulteriormente ridotta (media -40%; p <0,001; intervallo ≥4 giorni in 9 pazienti), una migliore soddisfazione del trattamento (questionari Hemo-sat), una riduzione significativa della dose settimanale e del consumo annuale di fattore VIII (media -12%; p=0,019), numero di sanguinamento e livelli minimi di FVIII comparabili, oltre a una migliore gestione dei sanguinamenti [7]. In tale analisi, condotta su una serie di pazienti trattati nella pratica clinica di tutti i giorni, il passaggio ai fattori a emivita prolungata, basato su un’attenta valutazione delle esigenze cliniche, test farmacocinetici e monitoraggio del trattamento, era stato in grado di ottimizzare il trattamento dal punto di vista della convenienza, dell’efficacia e dei costi. Altri studi sull’impatto economico legato ai fattori a emivita prolungata sono stati condotti sia sui pazienti con emofilia A, che su quelli con emofilia B, confermando il potenziale vantaggio economico e clinico rispetto ai prodotti a emivita standard [7]. Sulla base di queste prime valutazioni, si può iniziare a intravedere il potenziale legato alle innovazioni terapeutica che sta interessando il mondo dell’emofilia. Tuttavia, esistono ancora molti interrogativi, solo accennati nei recenti studi, circa le potenziali differenze cliniche ed economiche dei nuovi prodotti a emivita prolungata e dei prodotti non sostitutivi, come emicizumab, nei pazienti con emofilia. Confronti specifici tra questi prodotti e lo sviluppo di nuovi sistemi di valutazione del loro impatto sulla vita e gestione dei pazienti, e sui costi del servizio sanitario sono stati identificati come necessari, al fine di ottimizzare la gestione e la sostenibilità dell’emofilia [8,9]. Inoltre, altre innovazioni terapeutiche si stanno affacciando sul mercato, assieme a terapie con potenziale curativo, come ad esempio la terapia genica. Per permettere che tali innovazioni continuino ad essere fornite ai pazienti, è necessario proseguire su approcci di valutazione che includano criteri di prezzo, basati sul valore reale del farmaco. I risultati degli studi clinici dovrebbero essere integrati con le analisi economico sanitarie, in grado di valutare in maniera completa, complessa ed esplicita le nuove tecnologie e di comprenderne al meglio la sostenibilità, ponderando aspetti di efficacia clinica con quelli di efficienza economica. Tali approcci devono essere fondati su criteri di sostenibilità e innovatività. Ottimizzare la gestione dell’emofilia, rendendo disponibile il miglior trattamento per ciascun paziente, predisporre di informazioni sul valore dei nuovi trattamenti, garantendone la sostenibilità, è diventato fondamentale. Allo stesso modo, è diventato fondamentale avere degli strumenti di gestione delle terapie ad alto costo (Fondo farmaci innovativi), che permettano di garantire l’accesso all’innovazione.

Riferimenti bibliografici

Riferimenti bibliografici

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VIDEO INTERVISTA
DEL professor paolo cortesi

Volume 2, Numero 4 – Dicembre 2022

Relatore

Paolo Cortesi

Pubblicazione

Dicembre 2022