EMATOWILL

Volume 2 – Numero 2

 

2° uscita del 2022 della rivista digitale Ematowill

 

A cura di Mariasanta Napolitano

Artropatia nella vWD

In emofilia, l’emartro e il rischio secondario di artropatia rientrano in un quadro clinico
alquanto definito, in particolare per i pazienti gravi e moderati. Nell’ambito della malattia di Von Willebrand, invece, tali quadri sono meno prevalenti. Nel suo approfondimento, il prof. Di Minno descrive le caratteristiche dell’artropatia in corso di malattia di Von Willebrand (vWD), con focus particolare sull’incidenza riportata nei diversi tipi di vWD, sulle presentazioni cliniche più comuni e sulla sua gestione.

APPROFONDIMENTO VON WILLEBRAND

L’artropatia nella malattia di Von Willebrand

Volume 2, Numero 2 – Giugno 2022

Matteo Nicola Dario Di Minno – MD, PhD
Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia
Università di Napoli Federico II, Napoli, Italia

Introduzione

La malattia di von Willebrand (VWD) è un disordine ereditario risultante da un deficit, quantitativo o qualitativo, del fattore di von Willebrand (VWF) [1]. Il VWF è una proteina che circola nel plasma, complessata al fattore VIII, (complesso FVIII/VWF) che è necessaria per la normale adesione delle piastrine al subendotelio e per l’aggregazione piastrinica in vitro legata alla ristocetina [1]. Le manifestazioni cliniche della patologia in questione sono estremamente variabili: ci sono casi gravi, che richiedono l’impostazione di una terapia sostitutiva, allo scopo di trattare o prevenire gli episodi emorragici, ma ci sono anche pazienti con manifestazioni emorragiche lievi. Inoltre, alcuni soggetti portatori della mutazione genetica non manifestano affatto episodi emorragici [1]. 

La mutazione genetica può comportare molteplici effetti fenotipici, consistenti essenzialmente nel prolungamento del tempo di sanguinamento ed in una ridotta attività legata al complesso fattore VIII/VWF (riduzione dell’attività coagulante del fattore VIII, riduzione dell’antigene del VWF, riduzione dell’attività del cofattore della ristocetina) [1]. La gravità del sanguinamento e i sintomi variano e dipendono dal tipo di VWD e dai livelli dei fattori della coagulazione. Nella VWD di tipo 1 c’è una carenza parziale di VWF, con sintomi emorragici per lo più lievi. Nella VWD di tipo 2 (comprendente i sottotipi 2A, 2B, 2N e 2M) è presente un difetto funzionale del VWF e la diatesi emorragica può essere grave, a seconda dell’attività del VWF e dei livelli di fattore VIII [2]. Il tempo di sanguinamento e le attività correlate a FVIII/VWF possono essere valutate attraverso test di laboratorio ma, in alcuni casi, la diagnosi con indagini di primo livello può risultare difficoltosa ed incompleta [1]. Per tale ragione, la valutazione dei multimeri e le tecniche di dimensionamento delle varianti qualitative del VWF sono state aggiunte al già complesso approccio alla diagnosi di questa patologia [1].

La VWD è la malattia emorragica ereditaria più comune, colpendo l’1% della popolazione mondiale. Nel VWD di tipo 3, il tipo più grave e meno frequente, si riscontra la completa assenza di VWF [2]. 

Sebbene, le manifestazioni cliniche in genere siano prevalentemente di tipo muco-cutaneo, possono verificarsi anche delle emorragie articolari, soprattutto nei pazienti con VWD grave, definita da un’attività del cofattore della ristocetina/VWF inferiore a 10 IU/dL [2]. 

Artropatia nei pazienti con VWD

Le problematiche articolari nei pazienti con VWD sono state segnalate per la prima volta nel 1952. 

L’incidenza e la gravità della malattia articolare nella VWD sono subordinate alla gravità della coagulopatia [2]. In particolare, come viene mostrato da uno studio in cui vengono comparati pazienti con emofilia A moderata e pazienti con VWD di tipo 3, sono appunto i livelli di FVIII a rappresentare il principale determinante del fenotipo
emorragico e, di conseguenza, dell’artropatia [3]. Come è noto, l’emartro può comportare lo sviluppo dell’artropatia attraverso meccanismi fisiopatologici, indotti dal deposito di emosiderina a livello dell’articolazione colpita, che induce infiammazione, ipertrofia del tessuto sinoviale e, successivamente, porta ad un danno di tipo degenerativo a carico della cartilagine e dell’osso. In emofilia, è ben noto che la principale causa di morbilità è costituita dal danno articolare strutturale, dovuto a emartri ricorrenti, che portano a una limitazione funzionale [4]. Il problema delle complicanze artropatiche nei pazienti con VWD resta ancora un argomento dibattuto, poiché gli studi che si sono posti come obiettivo quello di stimare l’incidenza degli emartri nei pazienti con VWD hanno registrato dati non univoci [3]. Gli studi sono eterogenei, per lo più piccoli e non presentano una definizione univoca e uniforme di artropatia, per cui una conclusione definitiva sulla frequenza con cui essa si verifica nei pazienti con VWD risulta difficile da determinare [2]. 

Nello studio olandese Willebrand, svoltosi nei Paesi Bassi (WiN), l’emartro (auto-valutato dai pazienti) si è verificato nel 25% dei 664 pazienti adulti con VWD arruolati e, più nello specifico, nel 35% dei 26 pazienti con VWD di tipo 3 inclusi nell’analisi [5]. Nei registri italiani, la prevalenza di emartro tra i pazienti con VWD varia tra il 3% nel VWD di tipo 1 (n=671), il 4% nel VWD di tipo 2 (n=497), fino ad arrivare al 45% nel VWD di tipo 3 (n=66) [2]. 

Alcuni studi si sono posti l’obiettivo di mettere a confronto i pazienti con VWD con quelli affetti da emofilia A, al fine di valutare eventuali similitudini o differenze. In uno studio che ha incluso 48 pazienti con VWD, 39 pazienti con emofilia A moderata e 59 pazienti con emofilia A grave, con sanguinamenti articolari documentati, la valutazione dei punteggi del Hemophiliac Joint Health Score (HJHS) e Pettersson score (PS), nei pazienti VWD, è risultata simile a quella per l’emofilia moderata, ma migliore che nei pazienti con emofilia grave [4]. 

Lo studio mostrava anche che le conseguenze e le alterazioni articolari dovute agli emartri erano simili nei pazienti con VWD ed in coloro affetti da emofilia moderata [4]. I pazienti con VWD di tipo 3 hanno mostrato il quadro articolare più compromesso, paragonabile ai pazienti con emofilia grave più giovani, trattati in modo intensivo [4]. 

Valutando le conseguenze dell’artropatia, è stato registrato che limitazioni nelle attività quotidiane si sono verificate tanto spesso nella VWD, quanto in emofilia A, sia di grado moderato che severo [4].

Approccio diagnostico dell’artropatia nei pazienti con VWD

La valutazione dell’esito clinico di un sanguinamento articolare è essenziale per identificare il danno articolare e ottimizzare il trattamento, al fine di prevenire la disabilità [6]. A tal proposito, è necessario identificare strumenti specifici che possano guidare il clinico nel valutare la gravità della patologia [6]. Recentemente, uno studio si è occupato di determinare la validità e l’affidabilità dello HJHS e dell’Haemophilia Activities List (HAL) nei pazienti con malattia di VWD [6]. I risultati dello studio hanno mostrato una correlazione tra HJHS e HAL [6]. Gli autori hanno quindi concluso che, nella VWD, sia lo HJHS che la HAL sono attendibili nel valutare l’esito clinico dopo il manifestarsi di sanguinamenti articolari [6]. 

Questi dati estremamente interessanti sottolineano la validità degli indicatori clinici, utilizzati in emofilia anche per i pazienti con VWD, e pongono quindi un ulteriore interrogativo in merito alla possibilità di utilizzare l’esame ultrasonografico per valutare lo stato articolare nei pazienti con VWD. Tuttavia, ad oggi non sono presenti studi disegnati specificamente per valutare ecograficamente lo stato articolare nei pazienti con VWD. Tale valutazione potrebbe evidenziare, come accaduto per i pazienti emofilici, la presenza di alterazioni subcliniche del tutto inattese. 

Approccio terapeutico dell’artropatia nei pazienti con VWD

La gestione terapeutica delle emorragie nei pazienti con VWD (specialmente nelle forme più lievi), è spesso legata all’uso della desmopressina [2]. Tuttavia, non tutti i pazienti con VWD rispondono a tale terapia. Quindi, in caso di mancata risposta alla desmopressina, vengono somministrati concentrati contenenti VWF. Inoltre, per quanto riguarda la gestione delle emorragie articolari e delle loro conseguenze, alle terapie farmacologiche vengono associate misure ulteriori, come: applicazioni di ghiaccio, riposo relativo, analgesici, ortesi (dispositivi ortopedici che supportano, o correggono la funzione di un arto o del busto) e fisioterapia [2].

Quando si sono verificati sanguinamenti articolari ripetuti o gravi, che hanno determinato ipertrofia sinoviale cronica, o danni alla cartilagine e a carico dell’osso delle articolazioni colpite, possono essere indicate procedure più invasive, come infiltrazioni intra-articolari, sinoviectomia, o procedure chirurgiche articolari [4].

Influenza dell’artropatia sulla qualità di vita nei pazienti con VWD

Le complicanze di tipo artropatico influiscono notevolmente sulla qualità della vita del paziente con VWD, in quanto comportano dolore cronico e disabilità. Uno studio recente si è posto l’obiettivo di valutare la prevalenza, l’insorgenza, il trattamento e l’impatto dei sanguinamenti articolari sulla qualità della vita correlata alla salute (HR-QoL) e sull’integrità articolare, nella VWD moderata e grave. Sono stati inclusi 804 pazienti affetti da VWD moderata e grave (attività del VWF ≤30 U/dL-1) [7] e i risultati dello studio dimostrano che i sanguinamenti articolari sono stati riportati dal 23% dei pazienti arruolati. Per lo più, le manifestazioni iniziano nell’infanzia, sono associate a dolore articolare e, di conseguenza, portano ad una riduzione della HR-QoL [7]. 

Riferimenti bibliografici

1. Rodeghiero F, Castaman G, Dini E. Epidemiological investigation of the prevalence of von Willebrand’s disease. Blood 1987; 69 (2): 454-459.

2. van Galen KPM, Mauser-Bunschoten EP, Leebeek FWG. Hemophilic arthropathy in patients with von Willebrand disease. Blood Rev 2012; 26 (6): 261-6.

3. Sood SL, Cuker A, Wang C, et al. Similarity in joint function limitation in Type 3 von Willebrand’s disease and moderate haemophilia A. Haemophilia 2013; 19 (4): 595-601.

4. van Galen KPM, Timmer MA, de Kleijn P, et al. Long-Term Outcome after Joint Bleeds in Von Willebrand Disease Compared to Haemophilia A: A Post Hoc Analysis. Thromb Haemost 2018; 118 (10): 1690-1700.

5. de Wee EM, Sanders YV, Mauser-Bunschoten EP, et al. Determinants of bleeding phenotype in adult patients with moderate or severe von Willebrand disease. Thromb Haemost 2012; 108 (4): 683-92.

6. van Galen KPM, Timmer MA, de Kleijn P, et al. Joint assessment in von Willebrand disease. Validation of the Haemophilia Joint Health score and Haemophilia Activities List. Thromb Haemost 2017; 117 (8): 1465-1470.

7. van Galen KPM, Sanders YV, Vojinovic U, et al. Joint bleeds in von Willebrand disease patients have significant impact on quality of life and joint integrity: a cross-sectional study. Haemophilia 2015; 21 (3): e185-92.

VIDEO INTERVISTA
DEL dottor Matteo nicola dario di minno

Volume 2, Numero 2 – Giugno 2022

Relatore

Matteo Nicola Dario Di Minno

Pubblicazione

Giugno 2022

EMATOWILL

Volume 2 – Numero 2

 

2° uscita del 2022 della rivista digitale Ematowill

 

A cura di Mariasanta Napolitano

Evoluzione delle terapie

Il futuro della lotta all’emofilia si fonda su terapie non sostitutive, attualmente già disponibili, o comunque in fase di sperimentazione avanzata, e sulla terapia genica. Il seguente approfondimento descrive la storia dei trattamenti dell’emofilia, definendo le loro caratteristiche per singolo periodo storico, partendo dagli anni ’60 ed arrivando ai giorni nostri.

APPROFONDIMENTO DI EMOFILIA

La lunga storia dell’evoluzione del panorama terapeutico in emofilia

Volume 2, Numero 2 – Giugno 2022

Matteo Nicola Dario Di Minno – MD, PhD
Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia
Università di Napoli Federico II, Napoli, Italia

Mentre negli anni ’30 i soggetti con emofilia raramente raggiungevano l’età adulta, per via dell’assenza di terapie adeguate, progressivamente lo scenario terapeutico si è modificato. Negli anni ’60 furono introdotti i concentrati di fattore di derivazione plasmatica e questo ridusse la mortalità, non riuscendo però a prevenire adeguatamente la comparsa di alterazioni a carico delle articolazioni. In aggiunta, all’epoca mancavano sistemi adeguati di inattivazione virale e molti dei soggetti con emofilia contraevano infezioni da epatite C (HCV) e da virus dell’immunodeficienza umana (HIV) [1].

Negli anni’80 sono stati perfezionati i sistemi di inattivazione virale per i prodotti di derivazione plasmatica e, quasi in parallelo, sono stati introdotti sul mercato il fattore VIII (FVIII) ed il fattore IX (FIX) ricombinanti [1].

Dagli anni’90 e fino al 2010 è stata l’era dei fattori ricombinanti, con il susseguirsi di una prima, seconda e terza generazione di FVIII ricombinanti. 

Con la progressiva diffusione dell’utilizzo dei fattori ricombinanti, la profilassi è stata implementata sempre di più [1].

Nonostante questo abbia radicalmente modificato la storia naturale dell’emofilia e delle sue complicanze croniche, il burden delle frequenti infusioni continuava ad essere il problema maggiore da gestire. Inoltre, nonostante una profilassi adeguata, alcuni pazienti riportavano comunque la comparsa, o il peggioramento dell’artropatia [1].

Con lo scopo di personalizzare ulteriormente la profilassi, riducendo le infusioni per alcuni pazienti, aumentando la protezione per altri, sono stati introdotti sul mercato concentrati ad emivita prolungata [1]. 

Con le nuove tecnologie utilizzate (fusione con frammento Fc, PEGilazione, legame all’albumina), i concentrati di FVIII hanno raggiunto un’emivita di 18-19 ore, mentre i concentrati di FIX sono arrivati anche oltre le 100 ore di emivita [1-3]. Tecnologie ulteriori, il cui scopo è prolungare l’emivita del FVIII, sono in corso di sperimentazione e promettono di garantire l’utilizzo di FVIII con 30-40 ore di emivita [1,2]. 

Tutto ciò sta progressivamente consentendo di ottimizzare la terapia dell’emofilia, riducendo il numero di infusioni e garantendo un numero di sanguinamenti sempre più basso. Le grandi modifiche che sono state adottate nel tempo hanno garantito un progressivo miglioramento nella qualità della vita dei soggetti con emofilia, rendendo possibile attività lavorative, attività fisiche e sportive che prima erano sconsigliate. 

Accanto alle terapie basate su concentrati di fattori, è stata introdotta di recente anche la terapia non-sostitutiva. 

Attualmente, per l’emofilia A è disponibile la terapia sottocute (con o senza inibitori), che usa un anticorpo bi-specifico che viene somministrato ogni 7, 14, o anche 30 giorni, garantendo una protezione più stabile e continuativa nel tempo [2].

Altre terapie non-sostitutive per l’emofilia A e per l’emofilia B sono in fase di sperimentazione, con tecnologie basate sull’inibizione dell’inibitore della via del fattore tissutale (TFPI) e sulla riduzione dei livelli di antitrombina [1]. In parallelo alle terapie sostitutive e non-sostitutive, sempre maggiore interesse è rivolto verso la terapia genica dell’emofilia A e B. Dopo i primi risultati incoraggianti, ottenuti nel 2011 utilizzando un virus adeno-associato per la terapia genica dell’emofilia B, diversi studi si sono susseguiti, sia per l’emofilia A che per la B, mostrando in molti dei casi un’espressione sufficiente di FVIII e FIX, con riduzione dei sanguinamenti e sospensione della profilassi [1,3].  

Sebbene altre terapie innovative siano ancora in fase di sperimentazione, è innegabile che negli ultimi anni si sia osservato un miglioramento significativo nelle opzioni terapeutiche per l’emofilia, con ricadute positive per tutti i pazienti [1,2]. 

Riferimenti bibliografici

1. Fassel H, McGuinn C. Haemophilia: factoring in new therapies. Br J Haematol 2021; 194 (5):
835-850. 

2. Di Minno MND, Di Minno A, Calcaterra I, et al. Enhanced Half-Life Recombinant Factor VIII
Concentrates for Hemophilia A: Insights from Pivotal and Extension Studies
. Semin Thromb
Hemost 2021; 47 (1): 32-42. 

3. George LA. Hemophilia gene therapy: ushering in a new treatment paradigm? Hematology Am Soc Hematol Educ Program 2021; 2021 (1): 226-233. 

VIDEO INTERVISTA
DEL DOTTOR matteo nicola dario di minno

Volume 2, Numero 2 – Giugno 2022

Relatore

Matteo Nicola Dario Di Minno

Pubblicazione

Giugno 2022