EMATOWILL

Volume 2 – Numero 3

3° uscita del 2022 della rivista digitale Ematowill

A cura di Mariasanta Napolitano

Qualità della vita nei pazienti affetti da malattia di Von Willebrand ed Emofilia

La gestione di malattie emorragiche congenite, che richiede (nel caso dell’emofilia A gra-ve), o può richiedere (in quello della malattia di von Willebrand), profilassi a lungo termine tramite somministrazione frequente di concentrati specifici per via endovenosa, non può prescindere dalle percezioni del paziente, dai suoi bisogni specifici, espressi o percepiti, né dall’impatto sulla sfera emotiva, sociale e quotidiana. In tale ambito rientra quanto viene ad oggi globalmente definito come “qualità di vita” e, più specificamente, qualità di vita correlata alla salute. Nel capitolo curato dalla Dott.ssa Mazzini viene definito in dettaglio l’ambito della “qualità di vita”, non solo sul piano medico, ma bioetico, psicologico e socia-le. Nello specifico, viene affrontata la definizione di “qualità di vita”, il ruolo che il paziente svolge come attore ed autore in essa e l’impatto che la dinamica tra paziente e medico ha sulla qualità di vita stessa.

APPROFONDIMENTO VON WILLEBRAND ed emofilia

Qualità della vita nei pazienti affetti da malattia di Von Willebrand ed Emofilia

Volume 2, Numero 3 – Settembre 2022

Cristina Mazzini
Psicologa, Psicoterapeuta, Neuropsicologa,
Bioeticista – ULSS 16 Padova,
Supervisore docente e supervisore clinico presso
Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo-Interazionista,
Supervisore docente a contratto Facoltà di Medicina
Università di Padova, Padova, Italia

Abstract

Prima di entrare nel merito dei contenuti relativi alla Qualità di Vita che vogliamo affrontare, vale la pena soffermarsi sulle intenzioni delle nostre riflessioni. Proviamo a restare sulla parola “vita”, ancora prima di affrontare cosa possa determinarne la qualità. La proposta non è filosofica, esistenziale, né bioetica, ma semplicemente linguistica e opportunistica. Innanzitutto parlare di Qualità di Vita ha senso dove la vita stessa non è a rischio. Con il progresso della medicina, si è passati a misurare la “mortalità”, poi “l’aspettativa di vita” e infine “la Qualità di Vita”: è evidente che le parole suggeriscono intenzioni sui contenuti che si intende trattare. In questo caso possiamo notare come da concetti quantitativi quali “mortalità”, o “aspettativa di vita”, si è approdati ad un costrutto sostanzialmente qualitativo, che quindi si rifà ad un giudizio di valore. Si tratta di qualcosa che può essere condivisibile e dunque verosimile, ma solo tendenzialmente teso ad un processo di verità ontologica, che tuttavia non è esatto. Ciò ci induce a introdurre una prospettiva esplorativa, che ci costringe a non considerare l’oggetto di studio come un dato indipendente dall’osservatore. Anche nell’intenzione di fare riferimento a teorie che stabiliscono l’area di osservazione e che definiscono a priori l’ordine dei significati, non si potrà fare a meno di fare i conti con la componente soggettiva, che diventa accessibile e disponibile al confronto attraverso il metodo storico ermeneutico, tramite la formula narrativa. Questa prima evidenza ci rende inevitabile il recupero della complessità, scarsamente compatibile con l’esattezza del modello scientifico, che necessita di un elevato livello di astrazione, generalizzazione e precisione.

Cosa si intende per Qualità di Vita?

Nel linguaggio del senso comune, parlare di Qualità di Vita sottintende genericamente un benessere fisico emotivo e sociale, uno stato di soddisfazione dell’individuo rispetto alla propria condizione di vita e una fiducia nella prospettiva di riuscire a realizzare i propri progetti.
Più difficile è trovare un accordo su una sua definizione “scientifica”, soprattutto se non si tiene conto dell’area di riferimento e del modello teorico che ispira il ragionamento in quell’area.
Come abbiamo detto, quando si parla di Qualità di Vita si sottintende un costrutto sostanzialmente qualitativo, astratto, non direttamente rilevabile, che diventa accessibile solo attraverso le sue conseguenze osservabili, sulla base di indicatori sensibili, secondo la disciplina che se ne occupa (economica, sociale, sanitaria, filosofica, ecc.) e, all’interno di questa, secondo l’approccio teorico che la sostanzia. Tali indicatori hanno la funzione di recuperare la complessità dell’idea astratta, costituendola come oggetto di studio.
L’accordo su cosa si intenda per Qualità di Vita, sia nella logica del senso comune che in relazione alle discipline che se ne occupano, deve essere inteso come una strategia, per quanto costruita con contenuti verosimili, che costituisce solo un terreno comune, metodologicamente utile, ma non un dato di realtà. È necessario quindi ribadire che le diverse impostazioni non sono giuste o sbagliate ma, semplicemente, rappresentano una scelta pragmatica, legata ad un criterio epistemologico di adeguatezza.
Risulta pertanto necessario ribadire che il maggior grado di “verità” è da ricercare nella visione del mondo di ogni individuo. Ogni persona, nella sua specificità e soggettività, può costruire e affermare la propria idea di Qualità di Vita secondo i propri criteri e valori, delineare il proprio progetto di vita e tendere alla sua realizzazione in quanto componente fondamentale della Qualità di Vita stessa.
Tuttavia, per delineare il Costrutto di Qualità di Vita, renderlo accessibile alla conoscenza e condividere un metodo di ricerca, è stato necessario organizzare l’intuizione del senso comune in una più dettagliata e specifica articolazione di criteri costitutivi, che tengano conto il più possibile della complessità individuale, e di criteri universali.
Nelle varie discipline che si sono occupate di Qualità di Vita, le macro-aree che sono state individuate per costruire un costrutto comune utile per avviare un confronto, si sono evolute nel tempo, cercando di volta in volta di interpretare i “valori fondamentali”, anch’essi mutevoli, che accompagnano la costruzione di questa definizione. Queste macro-aree sono multidimensionali e includono domini centrali, che sono influenzati da caratteristiche personali e da fattori ambientali. Per questo motivo, la valutazione della Qualità di Vita è basata su indicatori culturalmente determinati o sensibili.
L’idea di fondo, al fine di avviare la ricerca soprattutto attraverso l’uso di modelli statistici, è quella di individuare domini centrali uguali per tutti gli individui, anche se può variare, individualmente, l’importanza e il valore che viene loro attribuito.

Qualità di Vita e Salute

Per valutare la Qualità di Vita non è possibile prescindere dalla questione salute. La salute è intesa come: “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non consiste soltanto in un’assenza di malattia o di infermità” (O.M.S., 1948); “condizione di armonico equilibrio, fisico e psichico, dell’individuo, dinamicamente integrato nel suo ambiente naturale e sociale” (O.M.S., 1966); “il processo che conferisce alle persone la capacità di aumentare e migliorare il controllo sulla propria salute” (O.M.S. 1988). In particolare possiamo notare come da una definizione di “stato” si è arrivati ad una definizione di “processo”.
Parlare di salute richiama quindi un costrutto multidimensionale variabile e dinamico, che prende in considerazione non solo aspetti biologici e funzionali dell’organismo, ma anche la vita sociale, emotiva, relazionale e lavorativa. Si tratta di un costrutto che tiene conto della visione del mondo che ogni individuo ha e di come interpreta la vita stessa, di come considera le attribuzioni di significato e senso, che sono parte integrante della sua esperienza, e di come ogni individuo ordina le proprie priorità esistenziali.
La Qualità di Vita legata alla salute prende in considerazione alcuni domini che oggi appaiono scontati, ma che tuttavia prima di essere formalizzati ed organizzati sono stati preceduti da intuizioni ingenue, legate al senso comune, come per esempio benessere emozionale, interazioni personali, benessere materiale, sviluppo personale, benessere fisico, autodeterminazione, inclusione sociale e diritti2.
Evidenziare per esempio il benessere emozionale, ci riporta a mettere in primo piano non tanto il “dato” come elemento privo di interpretazioni o intenzioni linguistiche, quanto piuttosto il vissuto personale, reso accessibile alla conoscenza attraverso la formula narrativa3.
In ambito medico, i primi studi sulla Qualità di Vita non tenevano conto del concetto complesso e dinamico di “salute”. Il focus era essenzialmente centrato sull’individuazione di dimensioni della Qualità di Vita in relazione a patologie, o trattamenti specifici a cui prestare particolare attenzione.
Riferendoci, nello specifico del nostro interesse, alle persone affette da emofilia e da malattia di Von Willebrand, risulta evidente come il lavoro della ricerca non sia più rivolto esclusivamente al contrasto della patologia e, di fatto, di come non si parli più di “mortalità” e nemmeno di “aspettativa di vita”, che solo 60 anni fa era stimata intorno ai 30 anni. Oggi, l’attenzione nella cura di tali patologie è sostanzialmente centrata sulla valutazione e implementazione della Qualità di Vita. Numerose sono le scale di valutazione della Qualità di Vita dei pazienti emofilici, con alcune eccezioni che recuperano la componente sociale, mentre la maggior parte di esse è centrata sulla visione dicotomica di salute vs malattia. Ad esempio, alcune fanno riferimento al danno funzionale, ponendo attenzione sulla malattia più che sulla possibilità di partecipazione ed inclusione nella vita sociale. Questa impostazione è in contrasto con la filosofia di base dell’International Classification of Function (ICF), che sposta l’attenzione dal danno al rapporto tra la persona e il suo ambiente e sulla capacità della persona stessa di esprimersi nel suo contesto di vita. Un contesto che può diventare facilitatore o inibitore delle sue capacità. La ricerca, dai preparati di plasma derivato fino ai prodotti ricombinati, ai fattori “a lunga durata” e ai progressi scientifici verso la terapia genica, sta consentendo di far fronte all’emofilia e alla malattia di Von Willebrand in modo efficace. Oggi accade dunque che i pazienti stiano bene ma, superando la visione medicalizzata, è possibile dare ascolto a coloro che precisano: “come paziente sto bene, come persona no!”. È facile intuire che il benessere non corrisponde esclusivamente allo stato di salute, inteso come gestione della patologia o convivenza con la stessa. Se è vero che la Qualità di Vita è un costrutto complesso, diventa necessario ricomporre la contraddizione “come paziente sto bene, come persona no!” con il maggior grado di coerenza possibile. Fatte queste considerazioni, appare evidente come al progresso della ricerca scientifica sia necessario affiancare il punto di vista del paziente/persona, con la sua partecipazione consapevole, competente e autodeterminata. La valorizzazione della persona/paziente competente ha contribuito ad un’evoluzione del Costrutto di Qualità di Vita, passando da una Qualità di Vita riferita solo a specifiche condizioni di salute, in relazione a patologie, ad una Qualità di Vita che recupera il punto di vista del paziente, attribuendogli una particolare rilevanza clinica e una specifica competenza sulla gestione della sua salute.

La persona/paziente autore e attore

Di fatto, la persona come soggetto/autore della costruzione del proprio Sé, in forma identitaria, utilizza le esperienze in relazione alle proprie aspettative e alle particolari visioni del mondo, per definire la propria Qualità di Vita all’interno di un processo discorsivo e ricorsivo.
“Ciò comporta riconoscere che le persone pensano e agiscono sulla base dei significati che gli eventi hanno per loro, pur non avendo sempre una consapevolezza di ciò che fa emergere questi significati. I significati sono costruiti e negoziati attraverso l’interazione sociale e simbolica e sono comprensibili all’interno dei contesti personali o interpersonali che li strutturano. Le persone sono quindi agenti attivi, dotati di una mente interattiva, che si organizza nei processi simbolici e linguistici. Le persone sono in grado di autodeterminarsi, attraverso processi mentali, cognitivi ed emotivi, sono consapevoli e capaci di condurre e monitorare in modo riflessivo e autoricorsivo il loro agire e quello interpersonale, in relazione a schemi anticipatori di scopi, piani, effetti, progetti, strategie d’azione, in un determinato tempo e in un determinato luogo. Ciò concorre a definire l’identità personale acquisita tramite l’uso della formula narrativa, cioè la configurazione degli eventi personali in anticipazione di ciò che saremo. Le persone si collocano all’interno del processo discorsivo che forniscono a se stesse, ossia delle spiegazioni che si danno. Ciò permette di conoscere il punto di vista dell’altro, l’esperienza personale, le costruzioni di sé e del mondo.”5. Se concordiamo su queste riflessioni, che configurano la persona come autore/attore della propria esistenza, appare evidente come sia necessario mettere la persona/paziente al centro delle questioni che la riguardano, compresa la valutazione della sua Qualità di Vita. Un esempio di traduzione concreta di questa necessità può essere efficacemente riscontrato nella Carta dei Diritti dei Pazienti Emofilici: “Un programma che tiene, quindi, in primaria considerazione i bisogni, le aspettative e i desideri del paziente, che è e resta l’attore fondamentale della propria cura, esperto della propria malattia vissuta.”.

Qualità di Vita, un dialogo tra medico e paziente

Ripartire da una dinamica circolare di costruzione di significati, ha consentito nel tempo di mettere a fuoco numerose discrepanze, di fatto ingenuità interpretative, tra almeno due punti di vista: quello del medico e quello del paziente. Si tratta di due distinte visioni del mondo, a volte discordanti tra loro, che devono tuttavia essere riconosciute entrambe come competenti, una nell’ambito specifico della patologia e l’altra nel modo in cui ogni individuo organizza il proprio sé, anche in relazione alla variabile salute/benessere. Questa dinamica di riconoscimento e valorizzazione reciproca, attiva un processo dialogico che consente di co-costruire6 una forte alleanza tra il medico e il paziente, un’idea di Qualità di Vita condivisa, utile e perseguibile da entrambe le parti. Questa circolarità dovrebbe essere alla base dell’intervento clinico: un dialogo tra sintomi e segni, con una particolare attenzione ai sintomi, intesi come io vivo e sento qualche cosa che mi appartiene, che fa di me un’esperienza che influenza la mia visione del mondo e le mie aspettative riguardo ad esso. Appare evidente come la valutazione della Qualità di Vita, intesa come costrutto complesso non direttamente osservabile, per essere funzionale e utile, non tanto o non solo alla ricerca standardizzata, ma più propriamente alla persona/paziente in un determinato momento della sua vita, deve necessariamente ricorrere ad un sistema di indicatori soggettivi, riferiti attraverso la formula narrativa. Per parlare di indicatori soggettivi, è necessario staccarsi dai dati, per esempio dalla definizione degli standard di vita, come il livello di povertà o il reddito familiare, e ricorrere ad indicatori che misurano la Qualità di Vita percepita dal singolo individuo. Se proviamo ad applicare questa riflessione alla valutazione della salute/benessere del paziente, recuperando la logica clinica, possiamo notare come ciò che appare è letto attraverso segni “oggettivi” (la scienza medica) ma vissuto attraverso sintomi che appartengono al “sentire” (l’esperienza soggettiva del paziente). Definire e valutare diventa pertanto un esercizio di giudizio di valore, qualcosa che viene osservato da un soggetto e sentito/vissuto da un altro. La pretesa oggettività nella misurazione richiede che tutti guardino gli stessi sintomi con gli stessi occhi o, nel caso della Qualità di Vita, le stesse attività con analoga priorità e intensità: ciò che appare e che viene letto attraverso segni (oggettivi) o criteri misurabili, ma vissuto attraverso sintomi, il sentire (personale) che appartiene all’esperienza soggettiva7. Fatte queste riflessioni, utili a non cadere nell’illusione di produrre conoscenza, ma piuttosto di orientarsi verso la stessa, senza alcuna pretesa di confondersi con essa, possiamo concordare sul fatto che gli indicatori che vengono declinati per misurare la Qualità di Vita delle persone, necessitino di una continua negoziazione tra osservato e osservatore. Nel nostro caso, appare evidente come i titolari delle due prospettive siano il medico e il paziente. Se volessimo ricondurre questa riflessione ad ambiti di ricerca ampiamente trattati, potremmo riferirci alla qualità della relazione medico-paziente, ponendo particolare attenzione ai processi che organizzano tale relazione.

Qualità di vita, alcune domande

Ora, consapevoli di queste complessità, le domande che potremmo porci al fine di orientarci verso un processo di conoscenza condiviso e metodologicamente utile, relativamente alla Qualità di Vita, potrebbero essere:
“Com’è possibile misurare un costrutto linguisticamente qualitativo, come la Qualità di Vita?”
“La Qualità di Vita dei pazienti con emofilia e malattia di Von Willebrand è direttamente riconducibile all’efficacia dell’intervento sulla patologia?”
“La valutazione della Qualità di Vita, assumendo in ipotesi grandi categorie quali i pazienti e i medici che di questi si occupano, può evidenziare una discrepanza di contenuti, di visioni del mondo e di idea di sé, tra medico e paziente?”

Conclusioni

Se è vero che l’intenzione della ricerca è di progredire nel tentativo di avvicinarsi alla verità, è anche vero che ciò che muove la ricerca sono i dubbi e le incertezze. Oggi l’interesse verso la ricerca in medicina coinvolge non solo gli esperti, ma l’intera società. Pur nella prevalenza di letteratura prodotta, di carattere scientifico e tecnico, l’impatto di questa ricerca chiama in causa anche discipline diverse, come la psicologia, la sociologia, l’antropologia, la filosofia, e la bioetica. Ciò ha maggior evidenza se non si considera la medicina esclusivamente come una pratica finalizzata alla guarigione delle malattie. La consapevolezza, di considerare i concetti di malattia, guarigione e salute partendo da una visione dinamica, complessa, storicamente e culturalmente determinata, non può che generare incertezza. Le riflessioni epistemologiche sulla scienza moderna, così come pure sulla medicina, ci suggeriscono di non pensare all’obbiettività della scienza come qualcosa che corrisponde alla certezza di verità, ma all’idea di intersoggettività. Quest’idea di intersoggettività non può che ricondurci ad almeno due macro-sistemi, con due visioni del mondo, quello medico e quello del paziente/persona. Da una parte c’è il metodo scientifico, che si rifà ad un’impostazione naturalistica, che studia l’individuo e i processi psichici e somatici estraendoli dal loro contesto storico, con pretese di osservazione oggettiva “reale” ed esterna all’osservatore, una prospettiva mossa dalla convinzione di poter ridurre fenomeni complessi a “cose” osservabili e le persone ad organismi assoggettati a leggi di funzionamento. Dall’altra c’è un modello che si rifà all’impostazione storico-ermeneutica, caratterizzata dal pensiero narrativo, che ha come obiettivo della ricerca l’interpretazione negoziata dei significati personali e sociali. In questo caso, l’oggetto d’indagine diventa l’individuo nella sua condizione storica specifica. Il processo di conoscenza presuppone di lavorare valorizzando il significato e la funzione che i sintomi, riportati dal paziente, hanno nella sua valutazione di salute/benessere e Qualità di Vita. L’interesse si sposta dalla pretesa di oggettivazione del “dato”, che sottende un “realismo ingenuo”8 teso al “fare”, con un’inevitabile semplificazione dei significati, verso il riconoscimento e la valorizzazione della complessità legata all’intenzione dell’osservatore. Questa seconda prospettiva ci convince che l’osservatore costruisce la realtà che vuole conoscere e descrivere. La costruzione che fa di ciò che osserva è guidata dalle sue intenzioni e dalla conoscenza organizzata che già possiede, che in qualche modo determina anche le aspettative rispetto a quello che vedrà. Consapevoli di non poter sfuggire dalla complessità ed eterogeneità di visioni del mondo, di modelli teorici e di modelli metodologici, spesso poco propensi ad un confronto, diventa indispensabile favorire un dialogo tra le due impostazioni: quella della medicina basata sull’evidenza della prova, e l’impostazione che privilegia metodi qualitativi di indagine, quelli che partono dallo specifico/particolare/soggettivo, “lo studio del caso”, che non hanno interesse ad appiattire la “cura” del singolo individuo ad un’astrazione basata sulle statistiche e sui grandi numeri.


Riferimenti bibliografici

1. Heider F, Baccianini M. Psicologia delle relazioni interpersonali. Copyright © Il Mulino 1990.
2. Schalock RL, Verdugo MA, Jenaro C, et al. A cross-cultural study of quality of life indicators. Am J Ment Retard 2005; 110 (4): 298–311.
3. Martino E. Una bibliografia ragionata sull’approccio narrativo. Scienze dell’interazione 2009; 1 (1): 75-81.
4. Redazione AICE. Scale di valutazione. https://aiceonline.org/?p=6103. Ultimo accesso: settembre 2022.
5. Mazzini, C. (2011). Lezioni di psicoterapia. Istituto di Psicologia e Psicoterapia Psicopraxis, Padova.
6. Chiari G. So Distant, Yet So Close: Kelly, Maturana, and Their Constructivist Theories. The Wiley Handbook of Personal Construct Psychology 2015; 1 (6): 57-68. Copyright © 2016 John Wiley & Sons, Ltd.
7. Husserl E. Fenomenologia e teoria della conoscenza. Copyright © Bompiani 2000.
8. Salvini A. Argomenti di psicologia clinica. Copyright © Upsel Domeneghini 1998.

VIDEO INTERVISTA
DELla dott.ssa cristina mazzini

Volume 2, Numero 3 – Settembre 2022

Relatore

Cristina Mazzini

Pubblicazione

Settembre 2022