Rivista di approfondimento scientifico dedicata a

EMOFILIA e malattia di VON WILLEBRAND

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Napolitano - Rivista approfondimento EMOFILIA VONWILLEBRAND

Direttore Scientifico

Mariasanta Napolitano

Dipartimento di Promozione della Salute,
Assistenza Materno-Infantile,
Medicina Interna
e Specialità Mediche (proMISE),
Università di Palermo, Palermo, Italia

Introduzione alla Rivista di approfondimento scientifico su Emofilia e malattia di Von Willebrand

Volume 1, Numero 1 – Dicembre 2021

L’emofilia è un deficit emorragico congenito, determinato da mutazioni nel gene del fattore VIII o IX (FVIII e FXI). A causa di esso, i pazienti con ridotti livelli di tali fattori della coagulazione sono esposti ad un maggior rischio di emorragie rispetto alla norma. L’emofilia A definisce una condizione di carenza del fattore VIII della coagulazione, mentre si parla di emofilia B quando il fattore carente è il IX.

L’emofilia viene trasmessa come carattere recessivo legato al sesso, perché i fattori VIII e IX della coagulazione sono codificati da geni presenti sul cromosoma X. Non si registrano differenze geografiche, né di razza nella distribuzione mondiale della patologia. L’emofilia si manifesta quindi prevalentemente in soggetti di sesso maschile, mentre la madre risulta portatrice del gene mutato: in circa il 30 % dei casi la mutazione si verifica “de novo”, cioè in pazienti in cui non vi sia una storia familiare di emofilia (i cosiddetti casi di “emofilia sporadica”). L’incidenza dell’emofilia A è pari a 1 caso su 5.000 nati di sesso maschile, mentre l’incidenza dell’emofilia B è pari a 1 su 30.000. La gravità e frequenza dei sintomi emorragici della malattia è correlata all’entità del deficit dei FVIII o FIX della coagulazione. La malattia può essere sospettata in età infantile in caso di sintomi quali epistassi ricorrenti, di emorragie insorte spontaneamente, o di sanguinamenti eccessivi a seguito di traumi o di interventi chirurgici. Le manifestazioni emorragiche più frequenti sono rappresentate da sanguinamenti articolari (emartri), muscolari (ematomi) e altre emorragie maggiori. In base ai livelli plasmatici di FVIII vengono definite tre forme di emofilia A: lieve (FVIII: c = 6-40%), moderata (FVIII: c = 1-5 %) e grave (FVIII: < 1 %). I pazienti affetti da emofilia A lieve possono manifestare sintomi emorragici, soprattutto a seguito di traumi maggiori o di interventi chirurgici, mentre i soggetti affetti da emofilia A grave manifestano sanguinamenti spontanei, potenzialmente fatali, o comunque anche dopo traumi di lieve entità. Il fenotipo emorragico dei pazienti affetti da emofilia A moderata è caratterizzato da quadri intermedi ai due sopra descritti. Il tradizionale trattamento dell’emofilia A consiste nella somministrazione del fattore carente per via endovenosa al bisogno (on demand) e cioè in caso di emorragia (trattamento da assumere entro il più breve tempo possibile dopo il riscontro del sanguinamento e da protrarre per una durata determinata in base all’entità e alla sede dell’emorragia, nonché al decorso clinico), o in profilassi e cioè finalizzato alla prevenzione del sanguinamento tramite infusione periodica del fattore carente nell’arco della settimana (i.e. a giorni alterni e fino a due volte a settimana, grazie alle nuove molecole ad emivita prolungata). La classica terapia sostitutiva tramite infusione di concentrati di derivazione plasmatica, o da tecnologia ricombinante, è stata negli ultimi anni rivoluzionata: gli enormi progressi fatti nella ricerca hanno permesso lo sviluppo di molecole modificate ad emivita prolungata, di trattamenti definiti “non sostitutivi”, perché non basati sulla somministrazione del fattore carente, ma sull’attivazione della coagulazione tramite meccanismi indipendenti dal fattore VIII, o dell’interferenza con anticoagulanti circolanti e somministrabili anche per via sottocutanea. Molto promettente e in fasi avanzate di sviluppo clinico è inoltre la terapia genica dell’emofilia, che consiste nell’infondere un vettore virus-associato, che esprime un transegne codificante per fattore VIII o fattore IX della coagulazione e capace di determinare una sintesi epatica di fattore tale da consentire di sospendere, almeno temporaneamente, la profilassi standard. Tuttavia, una complicanza della terapia sostitutiva tuttora non controllata consiste nello sviluppo di anticorpi (inibitori) contro il fattore infuso, che viene riconosciuto come estraneo dall’organismo. Circa il 25-30 % dei pazienti con emofilia A grave sviluppa infatti, dopo le prime esposizioni al trattamento, alloanticorpi, prevalentemente di classe IgG. Il complesso FVIII-IgG è solubile e l’anticorpo inibisce l’attività del FVIII. Talvolta, il complesso immune viene rimosso rapidamente dal circolo, riducendo quindi l’efficacia del fattore infuso stesso. L’entità della risposta immune nei pazienti con emofilia, dopo esposizione al FVIII, è variabile, poiché alcuni pazienti hanno bassi livelli di inibitore (< 5 U Bethesda), nonostante la terapia sostitutiva ripetuta (low responder), mentre altri hanno alti livelli di inibitore (fino a diverse centinaia di unità Bethesda), quando stimolati dalla somministrazione di FVIII (high responder). La profilassi è attualmente lo “standard of care” per tutti i pazienti con emofilia A grave. Tale trattamento può essere somministrato, secondo le attuali evidenze e in accordo con le più recenti linee guida internazionali e le molecole approvate, con concentrati di fattore VIII (sia ad emivita standard che prolungata), che consentono personalizzazione del trattamento, o con terapia non sostitutiva (emicizumab).

La malattia di von Willebrand è la più frequente delle coagulopatie emorragiche congenite. La sintomatologia emorragica è secondaria alla compromissione delle due fondamentali funzioni del fattore von Willebrand: supporto all’adesione piastrinica, controllo della capacità di secrezione e sopravvivenza del FVIII della coagulazione, tramite formazione con esso di complessi plasmatici. La malattia di von Willebrand viene trasmessa con modalità autosomica dominante, nella maggioranza dei casi, sia pure con penetranza spesso incompleta. I pazienti affetti da malattia di von Willebrand presentano emorragie prevalentemente a sede muco-cutanea, quali ecchimosi, epistassi, metrorragie, o sanguinamento a seguito di traumi ed interventi chirurgici. I livelli plasmatici del fattore di von Willebrand (vWF) possono aumentare in caso di stress, durante la gravidanza, o in seguito a procedure chirurgiche. Ciò pone indicazione a ripetere i dosaggi di vWF nel tempo, allo scopo di confermare la diagnosi di malattia di von Willebrand in caso di sanguinamenti di lieve entità. Nei rari casi di mutazione allo stato omozigote, o doppio eterozigote (malattia di von Willebrand di tipo III), le manifestazioni emorragiche sono molto più gravi (a carico del sistema nervoso centrale, del tratto gastro-intestinale e delle articolazioni). In queste ultime forme, i livelli plasmatici di vWF risultano non dosabili, o comunque estremamente bassi (inferiori a 5 U/dL di FVIII). La malattia di von Willebrand (vWD) viene classificata in tre tipi principali: tipo1, tipo 2 e tipo 3. Nell’ambito di questi tre tipi vi sono due forme di patofisiologia: una ridotta quantità di vWF normofunzionante e un’alterata funzione del vWF. Nel tipo 1 e 3 di vWD vi è una ridotta quantità di vWF, il che indica la presenza di una concentrazione plasmatica di vWF insufficiente a prevenire sanguinamento. La malattia di von Willebrand di tipo 2 viene classificata come una ridotta funzione di vWF, quando cioè il vWF non è in grado di svolgere una o più delle sue funzioni fisiologiche in maniera appropriata. Il vWD di tipo 2 viene ulteriormente distinto in quattro sottotipi: 2A, 2B, 2M, e 2N. Nel vWD di tipo 3 di solito vWF e FVIII sono indeterminabili. L’inquadramento diagnostico, nel caso di sospetta malattia di von Willebrand, è stato di recente rivisto dalle linee guida internazionali. Esso si fonda sulla valutazione della storia emorragica tramite bleeding assessment tools (BAT) e contempla la esecuzione dei seguenti test: dosaggio dell’attività coagulante del FVIII (VIII: C) e dell’antigene del fattore von Willebrand, determinazione dell’attività del vWF, preferibilmente tramite test di platelet binding. L’eventuale esecuzione di ulteriori indagini può essere guidata da indicazioni cliniche, dall’esito dei test della desmopressina e dai risultati dei test sopra elencati. La gestione terapeutica della forma più frequente di malattia di von Willebrand (il tipo 1) si rende di solito necessaria a seguito di traumi, o in preparazione a procedure chirurgiche. La modalità di trattamento della malattia di von Willebrand dipende dal tipo della malattia, dalla sua gravità e dalle manifestazioni cliniche. La 1-Deamino-8-D-Arginina-Vasopressina o Desmopressina (DDAVP), un derivato sintetico dell’ormone antidiuretico senza effetti vaso-attivi e gastrointestinali, è in grado di indurre, attraverso un meccanismo di esocitosi del FVIII/vWF nei corpi di Weibel-Palade delle cellule endoteliali, e probabilmente dagli alfa granuli piastrinici, un transitorio incremento di fattore VIII e vWF endogeno e può essere somministrata a seguito di sanguinamenti di lieve entità e in tutti i pazienti responsivi. Laddove la DDAVP risultasse inefficace o controindicata, i concentrati contenenti fattore di von Willebrand, di derivazione plasmatica o ricombinante, restano il trattamento di scelta.

Consultando i principali motori di ricerca si evince che, solo nell’arco del 2021, le pubblicazioni scientifiche relative ad emofilia A e B sono state circa 1.000, mentre più di 500 sono state quelle dedicate alla malattia di von Willebrand. Ciò esprime indubbiamente un interesse crescente circa la gestione di tali patologie. La recente disponibilità di nuovi trattamenti, in associazione alla persistente necessità di risolvere problemi ancora aperti nella cura dell’emofilia e della malattia di von Willebrand, rende di particolare interesse le iniziative che la rivista Ematowill si propone: fornire ai lettori un aggiornamento relativo agli aspetti biologici, clinici e terapeutici dell’emofilia e della malattia di von Willebrand; sintetizzare i dati più recenti provenienti dalla letteratura scientifica internazionale; fare luce su tematiche ancora irrisolte nella gestione clinica e terapeutica di tali patologie. Ematowill nasce quindi come strumento di divulgazione scientifica, ma anche di approfondimento specifico e si articolerà in più numeri, i cui contenuti verranno curati da esperti nazionali nella gestione delle malattie emorragiche congenite (MEC).

VIDEO INTERVISTA
DEL DIRETTORE SCIENTIFICO 

Volume 1, Numero 1 – Dicembre 2021

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